La riflessione su questo tema ha avuto origine dalla mia partecipazione al 4° Simposio Internazionale ‘Lavoro in Armonia’, tenutosi ieri a Olbia. L’evento è stato guidato dal dott. Salvatore Fadda, esperto di salute lavorativa e gestione dello stress nell’era digitale, coordinatore scientifico dell’International Stress Network (INETAS). Voglio ringraziarlo per il suo contributo e per aver portato avanti una discussione così importante sul technostress e sulle buone pratiche legate alla salute e sicurezza sul lavoro.
Negli ultimi decenni, il termine “technostress” è stato spesso utilizzato per descrivere il disagio associato alla crescente digitalizzazione della nostra vita quotidiana e lavorativa. Definizioni autorevoli, come quella di Michelle Weil e Larry Rosen (1997), hanno identificato il technostress come “qualsiasi conseguenza negativa che abbia effetto su attitudini, pensieri, comportamenti o psiche, causata direttamente o indirettamente dalla tecnologia.” Sebbene questa definizione sia stata ampiamente accettata, credo sia giunto il momento di fare un passo avanti e riflettere sul ruolo che noi, come esseri umani, abbiamo in questo fenomeno.
La tecnologia, infatti, non è né buona né cattiva per natura. È un mezzo che può facilitare o complicare la nostra vita a seconda di come viene utilizzato. Quando parliamo di stress legato alla tecnologia, spesso siamo portati a vedere quest’ultima come un’entità esterna che ha il potere di generare stress o disagio. In realtà, non è la tecnologia in sé a essere stressante, ma il nostro modo di utilizzarla, il contesto in cui la usiamo e la nostra capacità (o incapacità) di gestirla in modo consapevole.
Ecco perché propongo una ridefinizione di technostress portando l’attenzione sul ruolo passivo della tecnologia e su quello attivo delle nostre scelte e comportamenti: “Il technostress è qualsiasi conseguenza negativa che abbia effetto su attitudini, pensieri, comportamenti o psiche, causata direttamente o indirettamente dall’uso che facciamo della tecnologia.”
Questa definizione pone al centro la responsabilità dell’individuo e delle organizzazioni. Non si tratta di demonizzare la tecnologia, ma di riconoscere che siamo noi a decidere come, quando e quanto utilizzarla. Lo stress digitale non deriva semplicemente dall’esistenza dei dispositivi tecnologici, ma dal modo in cui li integriamo nelle nostre vite, dai confini che poniamo tra online e offline e dalla capacità di gestire la tecnologia come un supporto, e non come un vincolo.
In pratica, questo significa sviluppare una maggiore educazione digitale, comprendere quando è necessario disconnettersi, e creare ambienti di lavoro che promuovano un uso equilibrato della tecnologia. L’obiettivo è imparare a sfruttare i benefici del digitale senza lasciarsi sopraffare, promuovendo un equilibrio che favorisca il benessere personale e collettivo.
Con questa ridefinizione del technostress, voglio incoraggiare una riflessione più ampia sul nostro rapporto con la tecnologia, invitando a concentrarsi su come possiamo trasformare il nostro modo di utilizzarla per migliorare la nostra salute mentale, le nostre relazioni e il nostro modo di lavorare. La soluzione non è spegnere la tecnologia, ma accenderla con consapevolezza investendo in formazione.